Angeli - Festa - Schifano

Piazza del Popolo

Angeli, Festa, Schifano

a cura di

Giuseppe Ussani d’Escobar

  

Erano gli anni di quella Roma che rappresentava il centro del mondo, potevi anche non viaggiare, prima o poi tutti quelli che contavano: scrittori, artisti, attori, cantanti e registi avrebbero attraversato Piazza del Popolo. Un microcosmo magico con al centro il suo obelisco attirava personaggi che si muovevano tra la realtà ed il sogno. Tre giovani avrebbero eletto a loro regno questo splendido angolo della città eterna: Angeli, Festa e Schifano. Roma era in piena trasformazione, seppur radicata nella sua storia millenaria, le luci si accendevano e la notte diventava giorno e diventava voglia di vivere, di lasciarsi coinvolgere dall’euforia montante; era “la città che non dorme mai”, gemellandosi idealmente ed emotivamente a New York e a Londra. La pubblicità e la segnaletica delle strade penetravano la sensibilità attenta e vorace dei giovani, così come era accaduto precedentemente negli States, ed ecco i primi monocromi di Schifano, smussati nei loro contorni come delle diapositive, si riempiono delle immagini della Coca Cola e della Esso, sigle che erano entrate nel nostro quotidiano con l’incisività dei caratteri delle antiche lapidi romane che sfilavano lungo l’Appia, formule del nuovo rituale della modernità, dell’invito al consumo della società di massa. Schifano porta in queste scritte-immagini delle sbavature e dei gocciolamenti, il marchio-icona rimane sottomesso, nonostante la brillantezza ed apparente durevolezza, al logorio del tempo. Angeli realizza l’Half Dollar, l’aquila è un simbolo inequivocabile contaminato dalla retorica del potere, ma dalle mani dell’artista rinasce quale una fenice imperfetta, incompleta, comunque potente nella sua caratterizzazione tutta pittorica e visiva, recuperando l’immortalità del simbolo. I profili urbani delle nostre città erano irreparabilmente cambiati, le periferie si erano estese, i centri storici rinascimentali e barocchi subivano alterazioni e modifiche,  lo spirito della modernità era arrivato anche da noi con la sua attraente ed ipnotica violenza.  Festa, con la serie delle sue “Piazze d’Italia”, tra le quali “Il Castello Sforzesco”, evocava la tradizione antica delle nostre architetture, invocando la memoria umanistica a sostegno e testimonianza della nostra speciale superiorità culturale nel contesto europeo e internazionale. Allo stesso tempo le sue “Piazze” sono realtà sospese ed evanescenti, che rispecchiano la solidità e la fragilità surreale delle sue apparizioni. In quegli anni, un giovane  si muoveva nel mondo dell’arte e frequentava la Galleria Soligo, luogo d’incontri e di emozioni, di magiche convergenze, poiché nulla in questa vita è veramente casuale; l’amicizia con il gallerista faceva si che si appassionasse sempre di più a Tano Festa, fino ad invaghirsi di una delle più belle opere di questo artista: “Il Carnevale – Omaggio aEnsor”. Ensor e Festa in questa tela s’incontrano perfettamente, in una totalità di armonia, intuizioni ed emozioni.  Nei ritratti di quel periodo Tano incarna i suoi fantasmi, il desiderio appassionato di vivere, in una oralità bulimica di origine infantile:  i volti delle persone reali od ispirati ai capolavori della letteratura e dell’arte, conservano e denunciano sempre l’identità di maschere, burattini e bambole ed entrano ed escono dal palcoscenico del suo teatro che altro non è che Campo de’ Fiori; l’artista-giullare shakesperiano si è costruito così il suo “environment” nel quale mette in scena, tra il conscio e l’inconscio, il suo “happening” compiacendosi della reazione dei partecipanti-spettatori.   Le maschere, in Tano Festa ed in James Ensor, possiedono l’energia vitale ed esplosiva degli istinti più bassi e demoniaci dai quali si vorrebbe fuggire e che nel contempo servono ad allontanare la paura della morte, esorcizzandola.  “ L’Addio a Londra” è la sintesi dell’universo di Festa: la finestra non costruita ma dipinta si affaccia su Trafalgar Square, la messa a fuoco è sulla colonna di Nelson, poi uno stacco e s’intravede la scarpa e l’ombrello di un uomo che si allontana uscendo dalla superficie pittorica, una mano affiora dal nulla ad invadere la scena con un primo piano magistrale ed accenna un saluto, le nuvole in alto trascorrono nel cielo. Lo spazio vive di sovrapposizioni ed un film si svolge verticalmente in una successione di fotogrammi. Il cinema, la televisione e la fotografia, i nuovi mezzi per leggere ed interpretare la realtà avevano incantato la fantasia degli artisti. La bella “Palma”, circondata da colori luminosi e prepotenti, svetta nel suo biancore acceso, ed è quasi la proiezione di un miraggio che ci viene incontro dalla memoria nostalgica della lontana Libia, terra natale di Schifano, che egli rivivrà ancora nei suoi omaggi a Leptis Magna e nei cieli stellati.  Angeli, Festa e Schifano sono eredi e consumatori d’immagini culturali che estraevano dal contesto abitudinario della vita quotidiana rendendole Pop ed anche Op  e restituendole al vigore del simbolo. I tre compagni di vita e di avventure sono artisti border line, la cui esistenza è diventata essa stessa opera d’arte;  non hanno avuto paura della morte, con lei hanno convissuto nel porto franco del sogno, e proprio per questo non sono mai morti, forse non sono mai nati, forse sono stati solo immaginati, semplicemente personaggi immortali di un film che non si è mai concluso.